Il dibattito tra grani antichi e glutine moderno è sempre più acceso. Questo perché, ad oggi, sempre più persone manifestano patologie, o sindromi, legate al consumo di cereali e loro derivati, contenenti quindi glutine. I fronti sono molti, uno diverso dall’altro e con le proprie apparentemente valide ragioni. C’è chi attacca il glutine in tutte le sue forme e non solo quello moderno, chi i cereali provenienti da specifiche regioni del pianeta. Poi ci sono i difensori della dieta paleo, che vorrebbero fare di tutti i carboidrati un fascio.
Tocca fare un respiro molto profondo, prendere 5 minuti del nostro sempre minor tempo a disposizione, e leggere questo articolo. Cercherò di riassumere tutte le problematiche del caso in riferimento alla situazione attuale. Farò il punto anche sulla nuova etichettatura alimentare indetta dall’Unione Europea, che potrebbe entrare in vigore dal 1 Aprile 2020.
L’uomo e i cereali
Diecimila, sono gli anni trascorsi da quando i nostri avi, i paleolitici, da prevalenti cacciatori-raccoglitori scoprirono il grande potenziale insito nel chicco di un cereale. Raccogliendolo occasionalmente poteva supportare, seppur in minima parte, il fabbisogno quotidiano di alimentarsi e nutrirsi. Ma se piantato in un buon terreno fertile, prendendosi cura di ciò che nasceva, da un chicco se ne potevano ottenere molti di più.
Nacque così, nella mesopotamica Mezzaluna Fertile, l’agricoltura, e per l’uomo si delinearono tanti nuovi scenari sociali e stili di vita diametralmente opposti rispetto al passato.
Il glutine e il nuovo scenario alimentare
Il glutine è un complesso proteico di due subunità, gluteina e gliadina, naturalmente presente in gran parte dei cereali, quali grano, orzo, farro, segale. La caratteristica principale del glutine è la grande lavorabilità delle farine che lo contengono. Impastando la farina, il glutine forma strutture a maglie che danno forma, compattezza, solidità e volume ai prodotti finali, quali pasta, pane, focacce, torte, cornetti.
Non a caso quindi, il farro, l’orzo e il grano sono diventati alimenti cardine per l’uomo. Dalle prime coltivazioni dei popoli della Mesopotamia agli Antichi Greci e Romani, dal Medioevo ai giorni nostri. A conferma di questo, la produzione mondiale di cereali è aumentata esponenzialmente.
Glutine e patologie annesse, siamo sempre più colpiti?
Come sappiamo bene, alcune persone, per una compartecipazione di predisposizioni genetiche e fattori ambientali, sviluppano la malattia celiaca. Nei soggetti celiaci, la porzione gliadinica del glutine innesca una serie di reazioni organiche che confluiscono in un attacco autoimmunitario da parte del nostro sistema di difesa. Purtroppo, il principale bersaglio di questo attacco interno è il duodeno, una porzione dell’intestino. Con l’ingestione continua di glutine, i microvilli delle cellule duodenali vengono sempre più danneggiati, fino al punto che non riescono più a svolgere il loro ruolo fondamentale di assorbimento di nutrienti, vitamine e sali minerali.
Ecco quindi che si sviluppa la malattia celiaca, con tutte le forme conseguenti, intestinali e sistemiche, che sono ben note. Una prima questione è il numero sempre maggiore di soggetti celiaci negli ultimi 20 anni. La spiegazione è data dalla natura multifattoriale della celiachia. La sua comparsa, o slatentizzazione, dipende, oltre che da mutazioni genetiche pregresse, da fattori esterni correlati al nostro stile di vita. Stress cronico, ansie, giornate sempre più frenetiche corse sul filo del rasoio, mancanza di attività fisica e alimentazione scorretta. Questi ed altri fattori accendono la miccia genetica dei potenziali celiaci.
Gluten Sensitivity o c’è dell’altro?
L’altra patologia sempre più diffusa è la NCGS (Non-Celiac Gluten Sensitivity), una particolare forma di sensibilità ai cereali contenenti glutine. Questa può dare origine a sindromi diverse, a volte simili alla celiachia, ma mai con danno autoimmune a carico del duodeno. La gluten sensitivity, però, non ha ancora un protocollo scientifico diagnostico, vale a dire che non esistono, ad oggi, esami che convalidino la presenza della patologia.
Studi recenti, inoltre, mostrano che non è sempre il glutine l’unico responsabile della sindrome, ma altre proteine presenti nel grano, le ATIs. Queste particolari proteine, più resistenti alla digestione da parte di enzimi proteolitici, innescano in alcuni soggetti un’anomala attivazione immunitaria, con conseguente patologia simil gluten sensitivity. In questi casi si parla di NCWSA, acronimo che sostituisce la G di gluten (glutine) con la W di Wheat che, appunto, vuol dire grano.
In ogni caso le due patologie sono legate al consumo di grano. Ma c’è una correlazione che potremmo fare tra passato e presente, in previsione del futuro? Il grano che consumiamo oggi è tanto diverso dai famosi grani antichi? E il glutine, in tutto questo, che ruolo gioca?
Grani antichi e glutine moderno, cambia qualcosa?
In diecimila anni di agricoltura, il grano, più degli altri cereali, ha subito due tipi di trasformazioni da parte dell’uomo:
- incroci selettivi di diverse razze regionali, da centinaia di anni
- irraggiamento con raggi gamma, a partire dalla seconda metà del ‘900
Perché l’uomo ha modificato, nel tempo, la genetica del grano? Semplice, per ottenere piante più forti, più resistenti a parassiti e intemperie, e per una resa di prodotto raccolto maggiore. Nel potenziamento delle razze moderne di grano è anche presente, in media, una percentuale maggiore di glutine, ma non tanto quanto i difensori dei grani più antichi e originari professano. Una sostanziale differenza è nella struttura molecolare del glutine, molto diversa dal cosiddetto “glutine antico”. Ma queste differenze tra grano antico e moderno, e relativo ‘trans-glutine’, sono le responsabili dell’impennata delle patologie descritte sopra?
Grandi studi scientifici che dimostrino inequivocabilmente questa correlazione non esistono ancora. Però, diversi studi hanno mostrato qualcosa di davvero interessante relativa al glutine. Gli enzimi digestivi umani riconoscono meglio il glutine nella sua forma più arcaica, riuscendo più facilmente a romperlo e metabolizzarlo. Invece, il glutine moderno, per una differente conformazione molecolare, viene frazionato con maggiore difficoltà. Alle volte, porzioni di glutine moderno che restano intatte, perché non ben riconosciute, possono alterare l’equilibrio del nostro microbiota e l’attività della zonulina, proteina guardiana regolatrice della permeabilità intestinale.
Il glutine moderno sembra essere propenso ad aumentare questa permeabilità. Più il nostro intestino è permeabile, maggiori saranno le sostanze che passano nel circolo sanguigno, e che non dovrebbero circolare. Queste, raggiungendo diversi distretti organici creano quella che si chiama infiammazione cronica silente, che colpisce tanto l’intestino quanto tutti i distretti del corpo.
Il glutine moderno, è il vero problema?
L’infiammazione cronica silente, o inflammaging, può essere corresponsabile di patologie autoimmuni, malattie metaboliche, patologie infiammatorie come la gluten sensitivity e la wheat sensitivity, e anche tumori. Quanto sia il ruolo preciso del glutine moderno sull’infiammazione cronica è ancora al vaglio della scienza, ma le connessioni, purtroppo, sono già evidenti. Quindi c’è una differenza sostanziale tra il consumare prodotti fatti con grani moderni e ultramoderni rispetto a quelli più antichi. Riporto un elenco di alcuni dei grani antichi che potreste valutare nella spesa dei prodotti cerealicoli:
- Biancolilla
- Bidì
- Etrusco
- Farro monococco
- Frassinetto
- Inalettabile
- Maiorca
- Perciasacchi
- Risciola
- Romanella
- Russello Saragolla
- Senatore Cappelli
- Solina
- Strazzavisazza
- Timilia
- Verna.
Origine delle farine, è davvero così importante?
Un altra questione, sempre più discussa nelle ultime settimane, è l’origine delle farine con le quali industrie e aziende, italiane o europee che siano, producono i loro prodotti. Ebbene sì, perché non tutti i prodotti italiani sono fatti con farine italiane, antiche o moderne che siano.
Ma questo, è davvero tanto importante?
Abbiamo appena appurato che è meglio scegliere prodotti di grani più antichi, ma che poi vengano coltivati in Italia, in Germania o in Canada, che differenza potrebbe mai fare? Se valutassimo le ripercussioni sulla salute e sul benessere dell’uomo, le cose potrebbero essere molto diverse.
Qual è il potenziale pericolo del grano esportato?
- Non in tutte gli stati, come in Italia, vi sono parametri più restrittivi nell’uso di particolari diserbanti erbicidi, i glifosati. Si tratta di molecole tossiche alle quali sempre maggiori studi associano un aumento di slatentizzazione e rischio di patologie infiammatorie e autoimmuni, tra cui celiachia, gluten sensitivity e NCWSA. Questo, si è visto, avviene attraverso una modulazione epigenetica da parte delle molecole di glifosato che perdurano nelle farine del grano dei campi diserbati.
- Il grano, così come il farro e l’orzo, sono cereali che si sono naturalmente sviluppati, in migliaia di anni, in climi prettamente mediterranei. Cosa voglio dire con questo? Che di certo non è fatto per crescere, svilupparsi ed essere conservato a meno 25°C del Nord degli USA o, peggio, del Canada. Quello che molti non sanno, purtroppo, è che a temperature così basse e in climi molto rigidi, sia sui chicchi che nella farina, si sviluppano dei particolari funghi. Questi funghi producono micotossine, dette DOP (dal nome deossilivalenoli), inserite nella classe 3 della classificazione per cancerogenicità dell’IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro). Della classe 3 fanne parte sostanze con questa dicitura: “non classificabile in relazione alla sua cancerogenicità per l’uomo”. La non classificazione è dovuta alla mancanza di dati sufficienti negli studi. Tuttavia ci si aspetta un’alta probabilità che presto vengano inserite tra le sostanze certamente cancerogene. Il problema di queste micotossine è che sono altamente termoresistenti, vale a dire che arrivano tal quali in prodotti finiti come pasta e pane. Inoltre non vi è ancora alcuna legge che obblighi a scrivere dell’eventuale presenza in etichetta.
Nuova etichettatura alimentare europea, come comportarci?
Eccoci arrivati all’ultima questione aperta ad inizio articolo: in merito al rischio correlato alle farine esportate (USA, Canada e Nord Europa) e alla nuova Direttiva Europea sull’etichettatura alimentare, come dobbiamo comportarci? Per chi non sapesse di cosa parlo, dal 1 Aprile 2020, salvo rettifiche, negli Stati dell’Unione Europea cambieranno le normative sull’indicazione della materie prime dei prodotti. Mi spiego meglio: le aziende produttrici non saranno più obbligate a scrivere in etichetta la provenienza delle materie alimentari con cui è fatto il prodotto, salvo che non confondano in qualche modo il compratore, nel qual caso avrebbero l’obbligo di indicarle.
Facciamo un esempio: immaginiamo di essere un’industria che produce pasta, chiamiamola Florecito (alla spagnola). Ok, ipotizziamo di importare farina di grano dal Canada, ma lavoriamo, produciamo e impacchettiamo la pasta in Italia. Se inserissimo diciture quali “pasta 100% italiana”, “dal cuore dell’Italia” o magari mettessimo semplicemente il simbolo del tricolore italiano, potremmo indurre in confusione il compratore. In questo caso saremmo, secondo la nuova legge, obbligati a scrivere “da farina prodotta in TALDEITALI stabilimenti sito in Canada”. Ma se non inserissimo frasi o simboli fuorvianti, ma scrivessimo semplicemente “pasta prodotta in Italia”, saremmo esentati dal menzionare il Canada.
E se la nostra “favolosa” pasta italo-CANADESE fosse, eventualmente, contaminata da micotossine DOP che potrebbero essere potenzialmente cancerogene? E se oltre a questo aggiungessimo che si tratta di farine da grano ultramoderno ricco in proteine ATIs e glutine altamente modificate rispetto ai grani antichi?
Il mio consiglio? Leggete sempre le etichette da cima a fondo, cercate di selezionare prodotti con grani antichi e di marchi che, nonostante la nuova legge, siano fieri di indicare che il loro grano è coltivato in Italia, nella Culla del Mediterraneo. Oltretutto, darete una mano al pianeta, riducendo l’impatto ambientale delle grandi richieste di importazione da regioni lontanissime.
Bibliografia:
Metabolic response of bacteria to elevated concentrations of glyphosate-based herbicide.
Serum zonulin and its diagnostic performance in non-coeliac gluten sensitivity.
Ancient wheat species and human health: Biochemical and clinical implications.
Glyphosate, pathways to modern diseases II: Celiac sprue and gluten intolerance.
Peptides from gluten digestion: A comparison between old and modern wheat varieties.
In vitro digestibility of proteins from historical and modern wheat cultivars.